Ecco il timing giusto per l’intervento!
… ma come sarà poi il recupero?
Alcune semplici domande a cui risponde il Dott. Marco Caforio, specialista in Chirurgia Protesica ed Artroscopica delle articolazioni di Ginocchio, Anca e Spalla.
Dottore, cosa vuol dire sostituire un’articolazione con una protesi?
A rivestire i capi articolari e permettere il loro movimento reciproco vi è la cartilagine, cioè un tessuto connettivale di sostegno. Purtroppo questo tessuto non è eterno, è soggetto ad usura nel tempo, a degenerazione dettata da sollecitazioni meccaniche come il peso, lavori pesanti, sport estremi, traumi articolari, alterazioni dei carichi corporei quindi deviazioni anatomiche… Quando la cartilagine è molto usurata viene esposto l’osso sottostante, che “sfrega contro la superficie ossea speculare” creando dolore, quindi limitazione al movimento. L’atto del chirurgo ortopedico è quello inserire un cuscinetto, interponendolo tra una superficie ossea e l’altra: quest’ultimo però non può essere a contatto diretto con l’osso, ma con una componente metallica, perché quest’ultima, a contatto con l’osso stesso, limita le mobilizzazioni nel tempo rimanendo la protesi duratura per molti anni. Quindi la protesi articolare non è altro che una nuova articolazione composta da due superficie fortemente aderenti all’osso, con interposto una struttura che permetta il loro scorrimento.
Quando è giusto che un paziente si sottoponga ad un intervento di protesi?
Fino a quando l’autonomia non è fortemente ridotta, e comunque il dolore è sopportabile, i pazienti tendono ad evitare l’intervento, come è giusto che sia (ndr), perché hanno paura e poco vengono tranquillizzati ed edotti su come sarà il post-operatorio, probabilmente per mancanza di colloquio; ma aspettando troppo si rischia di incorrere in una protesi dolorosa, cioè con un dolore residuo permanente, seppur in presenza di un intervento comunque ben eseguito e senza complicanze.
E’ stimato infatti che purtroppo circa il 90% delle persone che soffre di dolori invalidanti aspetta troppo tempo per decidere di farsi operare, mentre circa il 25% decide in anticipo. Questo dipende molto dalla persona e dal rapporto che ha con il medico che l’ha in cura. Questi sono i dati emersi dall’importante studio pubblicato sulla Rivista Internazionale Journal of Bone and Joint Surgery a Marzo 2020, condotto dalla Feinbergh School of Medicine della Northwestern University di Chicago. L’argomento in questione è l’importanza del timing da rispettare per decidere quando un intervento di protesi debba essere effettuato, timing a cui attenersi, sia il chirurgo che il paziente.
Leggi: Examining Timeliness of Total Knee Replacement Among Patients with Knee Osteoarthritis in the U.S.
E’ stata un’accurata analisi di circa 8 mila pazienti affetti da artrosi di ginocchio, confrontando i risultati degli interventi eseguiti e i controlli successivi tenendo conto del momento in cui sono state messe in lista d’attesa e quindi operate: sia effettuando l’intervento in ritardo che troppo presto i risultati sono stati negativi.
Ci sono altri trattamenti prima di arrivare all’intervento di protesi al ginocchio?
Il buon ortopedico deve prendersi carico del paziente, seguirlo nel tempo ed insieme giungere all’opzione terapeutica della scelta di sostituire l’articolazione. Bisogna agire a step, vedere come il paziente risponde ai vari trattamenti incruenti e/o miniinvasivi. Purtroppo l’artrosi è una condizione “fisiologica”, “…è normale che il paziente anziano non abbia più la cartilagine di un diciottenne…” (ndr). A fronte di una cartilagine usurata i primi tentativi per togliere il dolore da artrosi sono i farmaci antinfiammatori e le terapie fisiche (come la magnetoterapia, che ha lo scopo di far riassorbire l’edema osseo che si è creato per il continuo sfregamento dei capi articolari e sovraccarichi funzionali per la mancanza del cuscinetto cartilagineo). Coadiuvanti questi trattamenti step successivi contemplano le infiltrazioni di acido ialuronico (cioè sostanze viscose, dense, atte a lubrificare l’articolazione creando un panno al di sopra della cartilagine danneggiata, riducendo gli attriti intrarticolari). Se tutto ciò non basta l’indicazione chirurgica iniziale, dipendente al grado di compromissione cartilaginea, è mini-invasiva: in artroscopia si effettua uno shaving (cioè “pulizia”) della cartilagine, condroabrasione o tecniche di stimolazione o trapianto cartilagineo (quest’ultimo solo in casi molto selezionati).
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Attualmente le cellule staminali mesenchimali prelevate da tessuto adiposo sono molto utilizzate, anche con risultati molto incoraggianti e sorprendenti (ndr).
Lo step finale, quando i sopraccitati non abbiano dato risultati sperati e specialmente duraturi nel tempo, porta il paziente all’intervento di protesi.
Oggigiorno com’è il recupero dopo un intervento di protesi al ginocchio?
Il recupero si compone di diverse tappe: oggigiorno viene adottato un protocollo chiamato fast-track, che implica una stretta collaborazione tra il chirurgo ortopedico, l’anestesista, l’esperto di emostasi e trombosi, il terapista trasfusionale, il fisiatra ed il terapista riabilitatore.
Protocolli dedicati, come il Patient Blood Management, fan sì che il paziente che si approcci ad un tale intervento abbia oggigiorno un rischio ridotto di complicanze e di ricorrere ad una trasfusione ematica. Generalmente dopo l’intervento al paziente viene impostata un’adeguata terapia antidolorifica, controllata dal terapista del dolore, e già in prima giornata inizia sia la mobilizzazione che la deambulazione. Una calza antitromboembolica limita l’insorgenza di una temuta complicanza, comunque purtroppo presente nella protesica di ginocchio, la trombosi venosa. Anche il carico precoce, oltre all’utilizzo di farmaci antinfiammatori (ove possibile COX-2) e crioterapia fanno riprendere un’autonomia seppur parziale già entro una settimana. Il paziente generalmente viene dimesso dopo un periodo di tempo variabile da tre a sette giorni, dipendentemente se ritorni al domicilio o venga dimesso presso una struttura fisioterapica. Comunque la seconda tappa è essenziale: la riabilitazione. Generalmente il paziente recupera un ROM (range di movimento) fino ad arrivare ad una flessione di circa 110° già dopo il primo mese; i restanti gradi di flessione vengono recuperati nei mesi successivi, magari aiutati dalla terapia manuale di scollamento cicatriziale. Molto spesso i pazienti dopo trenta giorni tornano a visita dallo specialista ortopedico riferendo che avvertono ancora dolore nel rialzarsi da una posizione seduta, accovacciata a terra, o banalmente nell’effettuare scale: gli viene spiegato dell’importanza del tono muscolare quadricipitale, sempre molto deficitario e lentamente recuperabile, il quale può far spostare la rotula tiltata verso l’esterno, quindi creando ancora gonfiore. Tutta questa situazione di infiammazione generale dovuta (non dall’assestarsi della protesi all’osso!!) ad un adattamento muscolare e tendineo alla nuova articolazione impiega almeno sessanta giorni. Il paziente deve essere seguito, anche psicologicamente oltre che con farmaci analgesici, incitandolo a non scoraggiarsi e ad effettuare la fisioterapia costantemente.