Quando l’anca fa male…

 Quando l’anca fa male… 

Serve un giusto approccio diagnostico iniziale, l’analisi attenta da uno specialista del settore e solo successivamente una terapia specifica adeguata e mirata. 

Dopo la chirurgia del ginocchio e quella della spalla da qualche anno mi sono appassionato a quella dell’articolazione dell’anca. Più di ogni altra cosa ciò che mi ha spinto a riprendere gli appunti di Anatomia è stata l’adozione della tecnica chirurgica mini-invasiva (“la via anteriore”) per la chirurgia protesica: ci tengo perciò a ringraziare il mio caro amico Luca Gala, che mi ha istruito passo per passo ospitandomi al Gaetano Pini di Milano, Istituto Ortopedico da cui io stesso venivo e dove avevo studiato sotto la direzione del Professor Marco d’Imporzano, pioniere della protesica d’anca. 

Ho letto molto in questi ultimi anni, visti e rivisti diversi video su You-Tube di tantissimi chirurghi esperti (molto belli ed esplicativi quelli del Professor Filippo Randelli del Centro di Chirurgia dell’Anca di Milano) e ho notato molte similitudini tra quest’articolazione e quella della spalla, specie per i dolori laterali o nella genesi dell’artrosi, per entrambe scaturite da una mancata sinergia di forze interne contrapposte a quelle esterne che infiammano tutte le strutture. 

Dopo una conoscenza nei minimi dettagli dell’anatomia per ogni distretto è importantissimo conoscerne la biomeccanica, ma il consiglio che posso dare a tutti che vogliano specializzarsi in un settore è quello di non fermarsi mai, continuare a vedere e rivedere video, Reel, a studiare! Perché l’ortopedico non è soltanto il bravo chirurgo che impianta una protesi difficile, ma soprattutto è un clinico, colui che discrimina bene un problema, parla bene al paziente ed imposta i giusti esami. 

L’Anca è l’articolazione più grande del nostro corpo, quella che sostiene il carico più elevato e permette di camminare e di vivere. Se una persona ha un problema all’anca questo si ripercuote sulla società, il malato non riesce a lavorare, si ferma, deve riposare: il problema all’anca è dunque un importante problema sociale. Lancet, la prestigiosa rivista scientifica, già nel 2007 aveva considerato l’intervento di protesi d’anca come l’intervento del secolo, grazie al rapporto rischio/beneficio a grande favore dei risultati positivi, per il ripristino della funzionalità articolare di questo distretto quando compromesso dall’artrosi. Infatti l’artrosi all’anca (o COXARTROSI) non è come quella di altri distretti: quando viene causa un dolore insopportabile che impedisce al paziente anche di riposare tranquillamente. 

L’anatomia di questo distretto non è complessa: l’anca è composta dall’acetabolo (porzione concava del bacino formata dalla fusione di tre ossa – ileo, ischio e pube) e dalla testa del femore, da una capsula articolare e dal sistema muscolo-tendineo che la ricopre. La complessità sta più nel capire come queste strutture collaborino tra di loro, ricordare che anche la capsula non è statica ma dinamica, e cercare di intuire il rapporto che questa struttura molto vascolarizzata ed innervata ha con quelle bursali e mio-tendinee adiacenti: tutto questo consente a noi specialisti di essere il più mini-invasivi e conservativi possibili quando trattiamo le sue patologie. 

Quando valutiamo l’anca come prima cosa dobbiamo discriminare se il problema che tormenta il paziente sia di tipo interno o esterno: il paziente identificherà un dolore inguinale ed una rigidità nei movimenti semplici come l’atto di accavallare le gambe o indossare calzature per le patologie prettamente interne all’articolazione (come avviene ad esempio nella coxartrosi), viceversa un dolore laterale o trocanterico (e specialmente notturno) in assenza di una rigidità vera e propria ai movimenti passivi, per patologie prettamente infiammatorie o degenerative della regione del ventaglio gluteo. 

La prima domanda che facciamo al paziente riguarda l’insorgenza dei sintomi: più questi sono datati e meno correlabili ad uno sforzo/ trauma, cioè cronici, più la patologia sarà di natura degenerativa. 

La patologia degenerativa più frequente come detto è l’artrosi, cioè la mancanza del cuscinetto cartilagineo. La cartilagine non è innervata e il paziente inizia a sentire il dolore quando questa già manca e osso strofina contro osso e genera quel dolore insopportabile. Se si tratta solo di “rammolimento” cartilagineo possono essere utili le infiltrazioni con acido ialuronico, sostanze viscose e dense che cercano di lubrificare l’articolazione per migliorare lo scorrimento dei capi articolari. Se si tratta proprio di mancanza della cartilagine – noi specialisti stimiamo il grado artrosico mediante una radiografia dell’anca – è necessario reinserire il cuscinetto tra i capi ossei: il cuscinetto (o inserto) non può stare a contatto con l’osso (unico impianto possibile nell’osso è di tipo metallico – oggigiorno leghe di Ti Cr Cb), quindi viene sostituita l’articolazione con la protesi di anca. Ai giorni nostri le innovazioni in chirurgia protesica di anca riguardano principalmente i materiali, sempre più resistenti all’usura nel tempo, con design più risparmiosi (meno invasivi sull’osso) e più conformati all’anatomia del paziente, ma soprattutto alla gestione nel malato e al suo recupero veloce (definito “Fast-Track”). Questo riguarda non soltanto una minor invasività chirurgica, ma più di tutto nel far vivere al paziente l’esperienza clinica del ricovero e della riabilitazione il meno traumatica possibile, quindi con una ripresa più veloce. E’ una gestione multidisciplinare che contempla l’utilizzo da parte dell’anestesista, personale di sala operatoria e medico internista di anestesie il più periferiche possibili che consentano un minor dispendio di calore, energie e quindi di sangue, impostando anche farmaci che anni fa non venivano usati perché poco conosciuti. Sono molto importanti anche le prescrizioni di farmaci che riducono il dolore post operatorio e consentono al personale riabilitativo di far riprendere il paziente in un brevissimo tempo. Il chirurgo ortopedico deve pensare a minimizzare lo stress chirurgico adottando ove possibile vie d’accesso all’anca che non distacchino la muscolatura (ASI – Via d’accesso mini-invasiva Anteriore, a Paziente Supino ed Intermuscolare, cioè senza distacco della muscolatura né glutea né extrarotatoria). 

In questo distretto purtroppo anche i traumi sono frequenti: questi eventi acuti, che il paziente ricorda e riferisce bene, possono bloccare gli sportivi nelle loro attività di corsa e salti. Nei pazienti più giovani possono verificarsi fratture da stress o edemi ossei, causando un dolore a volte discontinuo e specialmente al carico o al sovraccarico. L’edema può schiacciare i piccoli vasi, quelli che danno vitalità alle cellule dell’osso, ed interferire anche con la sua trabecolatura, alterando così il microcircolo del tessuto stesso, esitando in vere e proprie NECROSI DELLA TESTA DEL FEMORE. Un edema all’interno di un osso deve essere repentinamente riconosciuto, al fine di adottare il più rapidamente possibile la terapia giusta per farlo riassorbire. I bifosfonati, cioè quei farmaci che attivano il suo metabolismo facilitando deposizione di tessuto buono e riassorbendo il tessuto danneggiato, e la magnetoterapia svolgono un ruolo essenziale; è necessario associare il giusto riposo, un’adeguata astensione dal carico pesante [portando comunque un po’ di peso sull’anca malata, perché ricordiamo che l’osso deve essere stimolato sia dagli integratori di calcio e fosfato ma anche dallo stimolo meccanico]. Se un trauma invece avviene nella popolazione anziana questo evento potrebbe esitare in qualcosa di molto più catastrofico, ora diventato quasi un’epidemia: purtroppo la FRATTURA del COLLO DEL FEMORE oggigiorno è sempre frequente per l’avanzare dell’età media e della qualità di vita della popolazione generale, più attiva anche se si soffre di osteoporosi. Questa frattura scompagina totalmente l’equilibrio purtroppo a volte molto precario tipico della popolazione anziana, velocizzando il declino del paziente. 

Quelli laterali sono i dolori più frequenti: circa metà dei pazienti che si approcciano a noi specialisti per un problema di anca ha un dolore laterale, isolato o associato ad una problematica interna. Vengono definiti con il termine generico TROCANTERITI, ovvero infiammazioni e dolori in sede trocanterica, quell’osso sporgente del femore che si sente alla palpazione della natica. Le cause di trocanterite sono svariate, ma sono sempre implicati i tendini dei muscoli medio e piccolo gluteo, che quasi sempre infiammano le borse mucose, ovvero quelle spugne che dovrebbero limitare il loro strofinamento contro l’osso del trocantere. Infatti almeno 1.8 pazienti su 1000 all’anno soffrono di BORSITE TROCANTERICA: questa veniva anche chiamata “La grande imitatrice” [come descriveva Stegheman] perchè una sua infiammazione riesce a similare il dolore del nervo sciatico, questa volta grazie al nervo gluteo inferiore che passa lì vicino le cui radici entrano in contatto con quelle di L5-S1 portando il suo dolore afferente che il paziente percepisce [con un meccanismo di “vai e vieni”] come infiammazione dello sciatico stesso. 

L’infiammazione dei tendini trocanterici può essere primitiva (patologia dei tendini stessi – condizione di TENDINITE – infiammazione acuta della cuffia dei rotatori glutea) e quindi va trattata con una terapia antinfiammatoria, oppure secondaria (condizione di TENDINOSI – cioè perdita dell’elasticità del ventaglio muscolare gluteo) e quindi va trattata con una fisioterapia adeguata e costante per ripristinare correttamente le forze che bilanciano l’articolazione. Quest’ultima è la condizione che si verifica più spesso perché con l’aumentare dell’età o per la presenza di patologie reumatiche concomitanti i muscoli tendono ad essere meno tonici, quindi a degenerare in tessuto adiposo. A questo consegue una contrazione anomala dei loro tendini, perché non più elastici [è il classico paziente che da un po’ di tempo avverte un dolore laterale, sempre più ingravescente, dettato dallo sbilanciamento delle forze coxo-femorali che creano un aumento dell’impingement articolare Bunker infatti già nel ‘97 descriveva ciò paragonando l’anca all’articolazione della spalla]. 

Il ventaglio gluteo è responsabile di una corretta camminata, del sollevamento del bacino quando si effettua il passo e del mantenimento del baricentro. Il primo segno che si avverte quando i tendini si infiammano o degenerano è un’alterazione della camminata, un’andatura anserina (simile a quella di una papera) ed una secondaria infiammazione della borsa trocanterica. Tutto questo è ben visibile alle immagini di una risonanza magnetica. 

La mancata elasticità primitiva del ventaglio gluteo sbilancia le forze che danno stabilità all’anca e di conseguenza si può avere un’infiammazione del tensore di fascia lata. Succede anche nei casi di dolore residuo dopo protesi d’anca quando vengono utilizzati steli molto lateralizzanti. Questi hanno lo scopo di aumentare l’off-set (per lateralizzare) e quindi far “tirare” meglio il muscolo medio gluteo, per migliorarne “la forza”, ma se questa tensione è eccessiva a volte creano infiammazione trocanterica per lo strofinamento contro il tensore di fascia [genesi interna – “da dentro a fuori” – dei dolori laterali di anca]. 

Viceversa un’aumentata tensione primitiva della fascia lata spinge le strutture esterne contro il trocantere [genesi esterna – “da fuori a dentro” – dei dolori laterali di anca] infiammando la zona e creando proprio una situazione definita ANCA A SCATTO. Questa condizione è presente in chi stimola costantemente l’apparato abduttorio (ballerini o atleti ginnasti), oppure nei pazienti che hanno ipertrofizzato il loro tensore di fascia negli anni [come conseguenza di uno strappo dei glutei, o perché questi sono degenerati da tempo, o perché in precedenza hanno subito un intervento di protesi di anca con la via d’accesso laterale che contempla il distacco del ventaglio gluteo – e ciò potrebbe essere causa di un dolore residuo dopo protesi di anca], oppure nei pazienti che abbiano una diversa lunghezza degli arti inferiori (ipermetria – ovvero l’arto più lungo proprio da quel lato) e che quindi la loro fascia lata (tirando di più) risulta più “iper-pressata” contro il trocantere infiammandosi costantemente. 

E’ molto importante che il ventaglio gluteo funzioni bene e si contragga bene, proprio per prevenire queste sproporzioni di forze, cioè per mantenere una corretta core-stability dell’anca ed impedire infiammazioni costanti alle sue strutture vicine. 

Se un tendine “funziona male”, cioè le sue fibre si contraggono male, si potrebbe generare anche una deposizione di Sali di calcio all’interno del suo ventre muscolare: si creano quindi delle CALCIFICAZIONI. Queste sono testimonianza sì di alterate forze di carico sulla struttura mio-tendinea ma anche di esiti traumatici, contusioni, strappi o vie d’accesso all’anca che abbiano contemplato il loro distacco. Ricordiamo che qualsiasi complesso muscolo-tendineo se viene traumatizzato può riparare con una metaplasia calcifica e generare dolore al paziente. Ove possibile lo specialista dell’anca deve mirare all’utilizzo di vie d’accesso il più mini-invasive e risparmiose possibili. Le onde d’urto hanno lo scopo sì di “sgretolare” la calcificazione (convinzione popolare) ma maggiormente di ri-ossigenare la zona, stimolando la struttura trattata a rigenerarsi in tessuto più elastico, riequilibrando le forze biomeccaniche dell’anca. 

Sempre da non sottovalutare specie nelle fasi iniziali di dolore trocanterico, alcuni tumori da CONDROBLASTOMA possono generare un dolore laterale di anca, cioè che il paziente avverte proprio alla palpazione del gran trocantere. In questo caso la malignità è solo locale, ma deve essere sempre ben evidenziato, repentinamente riconosciuto, per evitare un sovvertimento strutturale di tutto il trocantere. Per questo motivo la radiografia non è MAI un esame banale, ed è il primo tra tutti che deve essere sempre richiesto in caso di dolore all’anca. 

I dolori all’anca possono affliggere anche i pazienti giovani. La causa più comune è una condizione interna e dettata da un’anomalia chiamata CONFLITTO FEMORO-ACETABOLARE. Ad una concavità acetabolare deve corrispondere una perfetta convessità della testa femorale: se vi è una non perfetta congruenza in uno dei due versanti, ad esempio una cavità acetabolare con un suo ciglio molto pronunciato e coprente, oppure una testa femorale non perfettamente sferica ma con una bombatura ossea al suo passaggio testa-collo, ai movimenti dell’anca può comparire un conflitto ove l’ “osso tocca contro l’osso contrapposto” e il paziente avverte dolore. 

Il conflitto viene chiamato PINCER, nei casi di maggior copertura del bacino, o CAM se è presente la protuberanza ossea. A volte sono anomalie presenti dalla nascita ma diventano sintomatiche solamente quando il paziente smette un’attività sportiva, che fino a quel momento gli ha consentito di avere una buona tonicità degli addominali e dei glutei (smette quindi di compensare il conflitto con la retroversione del bacino). Se il bacino infatti si antivergine, creando una iperlordosi lombare, la copertura dell’acetabolo aumenta e il paziente avverte dolore. Lo specialista dell’anca effettua dei test specifici (FABER – dolore effettuando movimenti dell’anca in Flessione ABduzione ed ExtraRotazione, o FADDIR – dolore provocato dai movimenti di Flessione ADDuzione ed IntraRotazione) ed identifica bene il problema impostando il trattamento più adeguato, che in genere non è chirurgico. Il gold standard di trattamento si basa su terapie antinfiammatorie, specialmente fisiche che agiscano sui tessuti profondi, ma specialmente sull’adeguata fisioterapia atta a migliorare la copertura acetabolare, quindi ginnastica posturale di retroversione del bacino. Se il dolore non migliora l’indicazione è una “pulizia” della protuberanza ossea o del ciglio prominente mediante tre piccoli buchini in artroscopia. Una condizione di conflitto femoro-acetabolare, o comunque un trauma indiretto secondario all’anca (classicamente è il paziente giovane che cade dall’alto in piedi e l’impatto fa schiacciare la testa del femore contro l’acetabolo), a volte può rovinare il labrum acetabolare, cioè la “guarnizione” che ricopre il perimetro circonferenziale della cavità articolare. Sempre mediante la tecnica artroscopica questa guarnizione può essere riattaccata all’osso mediante ancorette (cioè piccole vitine a cui sono attaccati dei fili di sutura) che riancorino la struttura labrale all’osso acetabolare. 

Anche un’altra condizione clinica crea dolore all’anca: la SACROILEITE, cioè infiammazione dell’articolazione posteriore al bacino che unisce l’ileo (osso laterale del bacino) al sacro (il grande osso nella porzione finale della colonna vertebrale). Questa può essere causata da uno squilibrio  meccanico (movimenti anomali tra sacro e ossa del bacino – che creano costanti piccoli sfregamenti tra le strutture ossee) specie nei pazienti con antiversioni importanti del bacino, pazienti obesi e con alterazioni posturali, ma sono state anche segnalate strette associazioni tra sacroileiti e patologie reumatiche (molte di queste ultime infiammano selettivamente questa articolazione). Noi specialisti andiamo sempre a palpare questa sede in un buon esame obiettivo dell’anca proprio per valutare se si tratta di sacroileite, perché il dolore potrebbe irradiarsi anteriormente e similare un dolore prettamente di anca. Il trattamento per questa patologia può spaziare da una infiltrazione antalgica di corticosteroidi (per sfiammare l’articolazione), fisioterapia per ripristinare la corretta versione del bacino, visita specifica reumatologica, o addirittura ad una stabilizzazione nei casi di sua instabilità meccanica importante. 

Oltre a tutte queste cause prettamente meccaniche, su cui l’ortopedico o il fisiatra possono intervenire (perché comunque fanno riferimento all’apparato muscolo-scheletrico) il bravo medico deve discriminare altre cause di dolore. 

Alcune PROBLEMATICHE NEUROPATICHE a volte possono generare un dolore che il paziente riferisce comunque a tale distretto. Il bravo specialista che conosce l’anatomia mediante il test di Lasegue (dolore evocato alla flessione dell’anca mentre il ginocchio è esteso) riesce a discriminare se il problema sia di origine meccanica o nervosa, a volte a partenza dal rachide lombosacrale, e in questi ultimi casi impostare l’esame più adeguato (una risonanza magnetica del rachide lombosacrale). Un dolore posteriore proprio al centro del muscolo gluteo, tra l’osso sacro e il trocantere, può essere espressione anche di un’altra patologia di origine nervosa: la SINDROME DEL MUSCOLO PIRIFORME. Questo muscolo è tra quelli posteriori dell’anca e il nervo sciatico passa proprio molto vicino: una sua ipertrofia potrebbe schiacciare le sue fibre nervose caratterizzando un classico dolore associato a bruciore, irradiato fino alla porzione posteriore ed inferiore della coscia. La diagnosi clinica, a volte con l’aiuto di una risonanza o ecografica, e il trattamento si basa principalmente su esercizi di stretching e terapie fisiche antinfiammatorie locali che possano lenire i dolori da infiammazione ed irritazione nervosa. 

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